Un pò di storia sul Fiordo
I Romani fuggiaschi, inseguiti dai Barbari, si rifugiarono su queste montagne e vi fondarono i primi insediamenti: Scala, Ravello, Furore. Poi da quassù scesero verso il mare, fino a diventare navigatori abilissimi. Nacque così la gloriosa Repubblica Amalfitana.
Furore
restò, per la sua particolare conformazione, una roccaforte inattaccabile anche
al tempo delle incursioni saracene. I suoi abitanti si dedicarono in particolare
alla pastorizia e all’artigianato.
Il
Fiordo rappresentò un porto naturale, nel quale si svolsero fiorenti traffici e
si svilupparono le antiche forme di industria: cartiere e mulini alimentate
dalle acque del ruscello Schiato, che discendeva dai Monti Lattari. Il nome
Furore derivò dalla particolare furia che il mare assume nei giorni e nelle
notti di tempesta e dal fragore dei flutti sulla scogliera e nel Fiordo, con
rumori spaventosi e assordanti. Il suo nome originario era “Terra Furoris”
(terra del Furore). Esso comprendeva anche un sobborgo, denominato
“Casanova”, poi assorbito nell’espansione del paese e la cui denominazione
è scomparsa.
Alcune
delle famiglie più importanti hanno dato il nome a luoghi e strade: Le Porpore,
Li Cuomi, Li Candidi, Li Summonti. Questi ultimi, dopo aver lungamente fatto i
pendolari per motivi di studio e di lavoro tra Furore e Napoli, si trasferirono
definitivamente nella capitale del Regno verso la metà del 1400. Ma lasciarono
qui la loro impronta di uomini probi, costituendo un cospicuo “legato” in
ducati, con le cui entrate annue doveva maritarsi una “zitella povera e
onesta” di Furore. I Furoresi erano, a loro volta, tenuti a recare alla dimora
napoletana dei Summonte, in segno di gratitudine e di rispetto, “tre rotola di
ragoste, bone vive et apte a riceversi”. Finiva qui la ricompensa? Qualche
maligno continua a pensare che essa si estendesse alla nubenda, sotto forma di
“jus primae noctis”.
Ma
di ciò non si ha conferma.
Pietro
Summonte, sacerdote, fu amico del Sannazzaro, del Cariteo e del Pontano e con
essi fondò la famosa Accademia. Poeta e scrittore, insegnò grammatica e
retorica allo Studio Generale di Napoli.
Vi
furono poi, nella nobile famiglia Summonte, due Giovanni Antonio, storiografi
insigni: l’uno, cinquecentesco, scrisse il breve “Trattato della isola di
Sicilia e dei suoi re perché nel Regno di Napoli fu detto Sicilia”; l’altro
fu autore della ponderosa “Istoria della città e del Regno di Napoli, edita
nel 1748.
Lo
stemma dell’antica Terra Furoris Universitas è rappresentato da uno scudo
raffigurante una colonna d’oro in campo azzurro.
Lo
storico Matteo Camera definisce i Furoresi cittadini “laboriosi e
manierosi”, dotati di “forte tempera”. Numerosi sono, infatti, i
“centenari” e fra questi fina alla veneranda età di 125 anni.
Furore
conta oggi quattro chiese: San Giacomo, San Michele, Sant’Elia e Santa Maria
della Pietà. Le prime tre sono parrocchie; la quarta è sede di un’antica
Confraternita, fra le più importanti e prestigiose della diocesi. Vi sono poi
alcune cappelle di origine gentilizia: San Giuseppe, eretta della famiglia
Florio; Sant’Alfonso, costruita dai Padri Missionari Fusco; Cappella della
Santa Croce, anticamente appartenuta alla famiglia Ferrajoli.
Di
quest’ultima vanno ricordati Nicola e Giosuè notai della metà del 1800.
Nella
chiesa di S. Giacomo, risalente all’XI secolo, sono stati recentemente
rinvenuti pregevoli affreschi di scuola grottesca, attribuiti ad Odorisio.
La chiesa di Sant’Elia Profeta, costruita nel 1300, rimodernata nel 1474, custodisce un trittico su tavola del pittore Angelo Antonelli da Capua, che lo dipinse nel 1482. Esso rappresenta l’opera pittorica più pregevole di tutta la Costa d’Amalfi.
(tratto da “Il paese che non c’è” di Raffaele Ferraioli – edito a cura dell’Associazione Pro-Loco di Furore) .
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